Intervista al DT della corsa in montagna Paolo Germanetto della WMRA
Riprendiamo l’intervista rilasciata da Paolo Germanetto, responsabile tecnico nazionale della corsa in montagna, trail e lunghe distanze al sito della World Mountain Running Association (WMRA), la federazione internazionale della corsa in montagna.
Paolo Germanetto, classe 1977, è dal 2013 responsabile tecnico della Nazionale di Corsa in Montagna che tanti successi e medaglie internazionali ha raccolto in questi ultimi anni. Il suo esordio in quella veste fu ai Campionati Europei di Borovets (Bulgaria), vinti da Bernard Dematteis su Alex Baldaccini, un inizio con il botto insomma. Ma la corsa in montagna è da sempre stata parte della sua vita. In questa intervista, che riportiamo, rilasciata alla World Mountain Running Association, oltre a raccontare di sè, Germanetto, una delle eccellenze dal punto di vista tecnico e organizzativo del panorama piemontese, racconta il suo punto di vista sulla disciplina e sul suo futuro in Italia e all’estero.
(da https://www.wmra.ch)
La corsa in montagna è stata una parte importante della tua vita nel tuo percorso di crescita?
Assolutamente si! Sono nato e vivo a Susa, in provincia di Torino, là dove si corre il Challenge Stellina, una delle gare più ricche di storia del nostro calendario internazionale. Nella mia Valle, tra Susa e Sauze d’Oulx, si sono corsi due Campionati Mondiali di corsa in montagna (1992 e 2004) e un Mondiale Master (2016). Qui è nata l’International U18 Youth Cup, che poi è tornata in Valle più volte. Con l’Atletica Susa, insieme ad altri grandi amici, e sotto la guida dell’indimenticabile Adriano Aschieris, mi sono ritrovato coinvolto in progetti tecnici e organizzativi sin da ragazzino. Insomma, per me, la corsa in montagna, sin da subito o quasi, non è stata soltanto correre e indossare un pettorale…
Quali sono stati i risultati più importanti nella tua carriera di atleta della corsa in montagna?
La mia carriera da atleta non è stata eccezionale e nemmeno molto lunga, bloccata soprattutto da una serie di infortuni che hanno probabilmente anche contribuito a dirottare i miei studi sull’ambito della riabilitazione fisica. Ho vestito la maglia azzurra da juniores, quando ho avuto la possibilità di correre il Campionato Mondiale 1996 a Telfes (Aut), vincendo il titolo a squadre, grazie soprattutto ai miei compagni di squadra…Si trattava di Marco De Gasperi, Emanuele Manzi e Alberto Mosca, atleti con i quali ho poi avuto la grande fortuna di condividere l’ingresso nel club della Forestale, che in quegli anni garantiva anche agli atleti della corsa in montagna la possibilità di fare atletica per professione. Sono stati anni splendidi sia sotto il profilo sportivo sia sotto quello umano: un grande privilegio.
Perchè hai deciso di entrare a far parte della struttura organizzativa di questo mondo?
Il passaggio è stato per me molto naturale, come se si trattasse semplicemente di lasciare sempre più spazio ad altri lati della stessa passione. Per me lo sport è pratica, è ricerca, è scrittura, è racconto, è..vita, insomma! Ho iniziato molto presto ad allenare, seguendo mio fratello Marco e poi altri ragazzi e ragazze a Susa. Parallelamente, iniziava anche il mio percorso di formazione tecnica nei differenti livelli previsti dalla Federazione italiana di atletica leggera e la possibilità di condividere esperienze di più alta qualificazione soprattutto con Marco De Gasperi ed Emanuele Manzi. Ma come fisioterapista della Forestale ho avuto la fortuna di poter fare esperienze importanti anche in altri sport, dal ciclismo al nuoto, dal judo agli sport invernali, lavorando con molti atleti olimpici e di livello internazionale: occasioni straordinarie per continuare a confrontarsi e crescere anche a livello tecnico.
E’ stato difficile prendere in mano la squadra nazionale italiana dopo Raimondo Balicco?
Raimondo Balicco che purtroppo, proprio un anno fa, è scomparso, vittima del Covid-19. Il passaggio non è stato semplice, anche perché giunto al termine di un confronto che in quegli anni in Italia era davvero molto vivace, con visioni differenti sullo sviluppo della corsa in montagna e sul suo posizionamento nella più ampia famiglia della corsa “off-road”. Si trattava di impostare un lavoro differente, in un contesto che stava cambiando molto velocemente. All’inizio mi sono ritrovato a chiamare in nazionale atleti anche meno giovani di me – e a pensarci adesso la cosa mi fa ancora sorridere -, ma sicuramente i risultati dei primi anni di gestione hanno aiutato il movimento italiano della corsa in montagna a mantenere alta la fiducia nel nuovo progetto tecnico.
Ci puoi parlare di qualche interessante progetto nazionale su cui stai lavorando?
Il nostro gruppo di lavoro è stato appena riconfermato dopo le elezioni federali, ora si tratta di proseguire e provare a migliorare il nostro lavoro, anche perché il contesto è molto cambiato negli ultimi anni. Storicamente l’Italia ha avuto un ruolo di primissimo piano nel movimento, ora la sfida è rimanere tra le Nazioni di vertice, diversificando più che in passato gli obbiettivi. Con i miei collaboratori Fulvio Massa e Renato Gotti stiamo cercando di recuperare il gap che ci separa dal vertice sulle distanze più lunghe del trail, senza perdere però la nostra forte tradizione nelle altre tre specialità che vedremo al prossimo Mondiale.
Pur con le difficoltà economiche che derivano dalla pandemia, stiamo provando a supportare gli atleti più titolati, ma anche il forte ricambio che è in atto al femminile, così come protagonisti nuovi in ambito Vertical Run e Short Trail, settori dove ci sono molti giovani interessanti subito alle spalle degli atleti che ora vestono la maglia della nazionale.
Stai guardando ai prossimi Campionato Mondiali in Thailandia che uniranno per la prima volta corsa in montagna e trail? Pensi che sia una buona cosa per il nostro movimento?
Penso sia una grande opportunità per tutta la corsa “off-road”: un punto di arrivo dopo anni di inseguimento, ma anche e soprattutto un punto di partenza, alla cui costruzione il movimento italiano del mountain and trail running ha dato il suo importante contributo. Mi piace considerare ogni nuovo progetto come una sfida appassionante, perché ci costringe a metterci in discussione, specialmente dal punto di vista tecnico. E’ un’occasione per superare veti incrociati e alibi e mettersi tutti in gioco per ritrovare ogni due anni tutto il meglio della corsa “off-road” nello stesso contesto. Con le difficoltà di questi ultimi tempi magari non sarà subito totalmente così, ma la via è tracciata e sono certo che il progetto mondiale non potrà che crescere negli anni a venire, a vantaggio soprattutto di un reale riconoscimento del valore tecnico degli atleti.
Chi sono gli atleti di punta da seguire nel panorama italiano della corsa in montagna?
Al maschile, in questo momento, abbiamo tre atleti di punta che stanno vivendo la fase più intensa dello loro carriera: Francesco Puppi, Cesare Maestri e Xavier Chevrier, che prevalgono di volta in volta uno sull’altro a seconda del percorso di gara e della condizione di forma. Sul format del Vertical, la punta è indubbiamente Henri Aymonod, che compirà 25 anni quest’anno. Questi quattro atleti sono già preselezionati per i Mondiali, insieme a Valentina Belotti che, pur tra mille infortuni, rimane la nostra atleta di punta per il Vertical.
Al femminile la situazione è molto più fluida: nel 2020 ai primi due posti del Campionato Italiano abbiamo avuto due atlete nate nel 1999, Gaia Colli e Alessia Scaini, che già hanno corso ad Europei e Mondiali nel 2019. Anche le sorelle Erica e Francesca Ghelfi sono in continua crescita, ma mi aspetto molto da un’altra giovanissima come Giovanna Selva (classe 2000!), così come dalle “capitane” Elisa Sortini e Alice Gaggi, sognando il ritorno ad alti livelli di Sara Bottarelli dopo la seconda maternità. E ovviamente c’è e ci sarà spazio per chiunque, donne e uomini, per mettersi in evidenza!
Tornando al maschile, è in bel recupero un talento importante come Daniel Pattis, argento juniores a Premana nel 2017, ma stanno crescendo davvero molto anche atleti come Alberto Vender, Luca Merli e Andrea Rostan.
Infine, alcuni degli atleti più forti dell’intera storia della nostra disciplina, stanno spostando le loro attenzioni su distanze più lunghe rispetto al percorso tecnico seguito sinora. Mi riferisco in particolare ai gemelli Dematteis, ad Alex Baldaccini, a Luca Cagnati. Sarebbe bello ritrovarli al meglio della loro condizione anche in Thailandia, questa volta magari sul format dello Short Trail. Nuove sfide anche per loro!
Fonte Fidal Piemonte